Francesca

L’Incubo, 1781 – J. H. Füssli

Il cielo era sereno e il sole era forte, come è giusto che sia il sole di un sabato di luglio. Stavo correndo, i muscoli mi supplicavano di fermarmi, ma dovevo andare avanti, il sudore ormai aveva coperto il mio corpo, ma dovevo continuare, gli altri contavano su di me. Vidi il mio obbiettivo e accelerai. Ancora pochi centimetri, adesso!
Con rapidità mi buttai a terra con la gamba tesa facendomi scivolare in avanti e dopo pochi secondi sentii il contatto col pallone, allora mi bloccai e impressi una forza contraria al movimento della sfera. L’avversario cadde subito sull’erba sintetica del campetto del CUS Torino e io salvai un goal sicuro. Stavo per lanciare la palla in avanti per far partire il contropiede, ma in quel momento un grido mi bloccò: <<Ragazzi! Il vostro tempo è scaduto, dovete liberare il campo per quelli dopo di voi!>>, Roberto subito gli gridò: << Dai! Ancora dieci minuti! Per favore! >>
<<Niente storie! Già l’altra volta vi ho fatto giocare un’ora in più, oggi non posso! Quindi iniziate a sgomberare!>>. Detto ciò, il custode non accettò repliche e se ne andò, così noi iniziammo a lasciare il campo tra le lamentele che, però, finirono subito, dato che nessuno aveva ancora abbastanza energie per continuare.
Salutai i ragazzi e andai a casa, dove mi aspettava una grande, bella e comoda vasca da bagno.
Nella vasca non mi immersi solo nell’acqua, ma anche nei miei pensieri e iniziai a ripensare a tutto quello che era accaduto quel giorno. Nella mia testa si formarono le immagini della partitella a calcetto con gli amici che mi iniziarono a scorrere come un servizio di “90° Minuto”, immaginando la voce di Stefano Bizzotto che commentava le azioni.
Fuori dal bagno una voce mi riportò alla realtà e, guardando l’orologio, mi accorsi che ero in bagno da più di un’ora. Giorgio, il mio coinquilino, mi stava intimando di uscire, così mi asciugai e mi vestii.
Dopo qualche minuto, mentre stavo leggendo “La mano sinistra di Dio” di Jeff Lindsay, Giorgio mi si avvicinò e mi disse: <<Antò, c’hai da fare ’sta sera?>>
<<No, perché?>>
<<Allora esci con me e i miei amici.>>
<<Dove andate?>>
<< Bah, non so. Probabilmente all’Irish Pub di corso Francia.>>
<<Se la birra me la offri tu vengo!>>
<<E va bene però, la prima ragazza che adocchiamo è mia!>>
<<Ok, farò ’sto sacrificio.>> risposi, e ci mettemmo a ridere.
Più tardi, verso le dieci di sera, uscimmo. Incontrammo gli altri davanti al pub. Entrammo; c’era molta gente, ma si stava comodi lo stesso. Ci sedemmo al bancone e ordinammo. Presi una bionda media e me la scolai tutta in un fiato. <<Ammazza! Vacci piano che io non ti porto a casa in braccio!>> mi disse Giorgio, <<Tranquillo tanto bevo solo questa.>> gli risposi.
Si liberò un tavolo, così decidemmo di sederci lì. Iniziammo a parlare del più e del meno e assistemmo ai mille tentativi di Giorgio di abbordare una ragazza, che puntualmente finivano con uno schiaffo ben messo proprio sotto lo zigomo sinistro. Appena scolata la settima birra, la mia mente si offuscò, iniziai capire sempre meno ciò che stava accadendo. In un momento di lucidità scorsi una splendida ragazza seduta da sola in disparte. Non persi tempo e mi avvicinai.
Mi sedetti sulla sedia vuota davanti e iniziai a parlarle: <<Ciao! Io sono Antonio. Tu come ti chiami?>>. La ragazza sorrise. Aveva un sorriso stupendo. <<Francesca>> disse. Mosse la testa e con la mano spostò i lunghi capelli neri e mossi, mostrandomi così gli occhi che erano di un verde intenso.
<<Cosa ci fa una bella ragazza come te, tutta sola in un pub?>> gli chiesi.
<<Cerco di svagarmi dopo una settimana pesante… e magari incontro il principe azzurro>>. Sorrise di nuovo.
Disinibito dall’alcool, dissi subito: <<Beh, forse l’hai trovato!>> e ammiccai in modo provocatorio.
Francesca scoppiò a ridere e disse: <<Spero per te che sia l’alcool a renderti così ridicolo! Sembri un dongiovanni di terza età della Romagna incontrato in una balera!>>.
Ferito nel mio orgoglio di conquistatore, misi il broncio come un bambino piccolo e dissi: <<Beh, potevi essere un po’ più delicata, non so, potevi inventarti una scusa. Non è bello essere derisi in faccia!>>. Smise di ridere e commentò, forse più tra sé che a me: <<Se non altro sei simpatico>> poi, alzandosi, mi porse un bigliettino e disse: <<Questo è il mio numero. Chiamami, magari da sobrio sarai meglio>>. Mi sorrise e se ne andò. Poco dopo, mi si avvicinò Giorgio, anche lui ubriaco, e mi chiese: <<Con chi stavi parlando?>>
<<Con una ragazza, si chiama Francesca. Sai, mi sa che ho fatto colpo; guarda, mi ha dato il suo numero!>>. Giorgio guardava il foglietto con uno sguardo assente, come se stesse pensando ad altro, come se avesse rivisto un fantasma, poi disse: <<Bah, abbiamo bevuto entrambi troppo. Meglio se andiamo a casa.>>. Io annuii e sorreggendoci a vicenda uscimmo dal pub e ci dirigemmo a casa.
La mattina dopo mi svegliai alle sei per la mia solita corsa di domenica mattina. Ero ancora un po’ rintronato dalla sera precedente e l’unica cosa che mi ricordavo era l’immagine di lei che mi sorrideva. Uscii di casa, misi le cuffie del mp3 nelle orecchie e iniziai a correre. Ogni pensiero svanì appena iniziai ad acquistare velocità; la musica mi riempiva la mente e non lasciava spazio a nient’altro. Andavo avanti alla cieca, senza una meta, ed ero felice, mi sentivo libero; la domenica era il giorno in cui potevo scappare da tutti i problemi che mi schiacciavano durante la settimana: la mattina corsa, e il pomeriggio partita alla televisione. Quella domenica però il campionato non c’era, così decisi di prendere il mio libro e andare al giardinetto pubblico davanti alla scuola media, all’incrocio tra Via Val Lagarina e Via Germonio. Era una splendida giornata, e il giardino era affollato di mamme con i loro figli. Mi sedetti su una panchina sotto un albero, un po’ in disparte. Da lì avevo una buona visuale di tutto il giardino; nella pista di pattinaggio si stava svolgendo una partitella di calcio tra ragazzi e in una panchina lì a fianco un gruppo di madri parlava allegramente del più e del meno. Aprii il libro e mi immersi nella storia di Dexter, un serial killer di serial killer, alle prese con la continua ricerca di sé stesso. Persi la cognizione del tempo e restai lì, sommerso tra le vicende del libro, per molto tempo, forse tre ore. Quando smisi di leggere diedi un’occhiata al giardino, e vidi che, nonostante si fosse svuotato, c’era ancora tanta gente. Ma una cosa catturò la mia attenzione, un uomo, no, non era un uomo, era un ragazzo sulla ventina, come me. Stava in piedi dal lato opposto dei giardini e mi fissava. Iniziai a fissarlo anche io e, guardandolo con attenzione, mi spaventai. Era identico a me, stesso viso, stessi capelli, stesso portamento. Solo una cosa era diversa: lo sguardo. Il suo era carico di odio, rabbia e tristezza. Interruppi subito il contatto visivo, chiusi gli occhi e contai fino a dieci. Quando li riaprii, lui non c’era più. “Devo trattenermi la prossima volta che vado al pub con Giorgio” pensai. Mi alzai e andai a casa. Ero sconcertato e agitato; e l’agitazione crebbe nel tragitto verso casa. Era come se qualcuno mi stesse seguendo, ma ogni volta che mi giravo non c’era nessuno. “Sto impazzendo!” pensai.
Entrai bruscamente in casa, chiudendo il portone con tutte le serrature presenti. Giorgio, che assistette a tutta la scena, mi chiese cosa stesse succedendo. Gli raccontai l’accaduto, e lui prima mi guardò stranito, poi mi disse che erano i postumi della serata precedente e di non preoccuparmi. Cercai di seguire il suo consiglio e andai a dormire presto. Non dormii tanto bene e intorno alle due di notte mi svegliai in preda agli incubi. Mi alzai dal letto e mi diressi verso il bagno, per darmi una rinfrescata. Aprii il rubinetto e mi bagnai la faccia. Uscii dalla stanza e mi avviai verso la mia camera. Passando davanti alla stanza di Giorgio, però, mi accorsi che c’era qualcosa di strano. La porta era socchiusa; entrai. Trovai Giorgio riverso per terra; subito corsi verso il suo corpo, gli sentii il polso: era vivo. Lo scossi, ma non si riprendeva. Ad un certo punto sentii un ticchettio ritmico provenire dal salotto. Lasciai lì il mio amico e mi incamminai verso la stanza. Era buia. Accesi la luce e, sdraiato sul divano vidi lui, il mio alter ego che tamburellava le dita contro il muro. Smise subito di farlo e mi guardò. Tremavo di paura, sembrava di trovarmi in un libro di Stephen King. <<Chi sei tu, cosa vuoi?>> gli domandai con voce tremante. <<Chi sono io? Ahah!>> rise. La sua risata riecheggiò forte nella stanza e ancora più forte nella mia testa. <<Chi sono io?>> disse di nuovo, stavolta con una punta di rabbia e amarezza nella voce; <<Ma come, non sai chi sono io? Io sono te e voglio la tua morte.>> <<Come sei me! Se io sono qui, in me stesso, come faccio a essere contemporaneamente di fronte a me, dentro te! E perché mai vuoi la mia morte? E che hai fatto a Giorgio?>> gridai istericamente, <<Ah, è più corretto chiedere che cosa TU hai fatto a Giorgio. Comunque è solo anestetizzato. Sai, mi fa quasi tenerezza la tua ingenuità e la tua paura nei miei confronti, ma allo stesso tempo mi fa rabbia sapere che hai dimenticato così in fretta ciò che è successo tre anni fa!>> esclamò; adesso la voce era colma d’ira e indignazione. Nel gridare, sbatté il pugno contro il tavolo. <<Ma cos’è successo tre anni fa?>> chiesi un po’ confuso. <<Cos’è successo?>> ripeté ed estrasse una pistola da sotto la maglia e avvicinandosi me la puntò sotto il mento. <<Cos’è successo? E’ successo che hai ucciso la mia ragazza! Tre anni fa, il 24 maggio 2006, sulla Torino – Piacenza, stavi guidando in stato di ebbrezza. Ad un certo punto hai sbandato e sei andato a schiantarti contro un palo. In quello scontro perse la vita la mia ragazza, ovvero la tua ragazza, Francesca. Ed ora io sono qui per vendicare la sua morte.>>. Sconvolto da ciò che avevo sentito, nella mia mente riaffiorarono le immagini di quel fatidico giorno. Subito dopo mi ricordai della prima volta che l’avevo vista: era in un pub, lei era sola seduta in un angolino e io ero completamente ubriaco.  Una lacrima uscì dall’occhio e rigò la guancia. Sussurrai solo una parola <<Scusami>>, poi premetti il grilletto.

 

Lunedì 20 luglio; 19:45, in una casa della periferia di Torino una famiglia stava cenando. La televisione era accesa sul terzo canale. Era l’ora del TgR Piemonte. La voce di Gianfranco Bianco riecheggiava nella stanza: << E’ stato trovato morto, stamattina, in una casa della periferia torinese, un ragazzo di 27 anni, Antonio Breschi. Il ragazzo si è suicidato sparandosi al mento. I vicini, avendo sentito lo sparo, hanno avvisato i carabinieri. Nella casa, le forze dell’ordine hanno trovato il corpo del ragazzo riverso in una pozza di sangue, con la pistola in una mano. Nella stanza c’era un televisore acceso con un fermo immagine su un volto di una ragazza. Si tratta di Francesca Pascoli, fidanzata della vittima, morta tre anni fa in un incidente stradale causato dal ragazzo. Dentro la casa è stato trovato un altro ragazzo, Giorgio Stante, coinquilino del morto. Era stato anestetizzato da Antonio, così da non fermare il suo folle gesto. Giorgio, sconvolto, ha dichiarato che l’amico non si era mai del tutto ripreso dalla morte della fidanzata. L’indagine è stata chiusa e tra tre giorni ci saranno i funerali del ragazzo. Per oggi è tutto, grazie per l’attenzione, arrivederci e buon proseguimento di serata.>>